
Affrontando per prima quest’ultima domanda, si può agevolmente verificare che in tante nazioni le lauree in giurisprudenza sono immediatamente abilitanti, in altri paesi come il Regno Unito non è richiesta una laurea (d’altronde il valore legale della laurea non esiste in molti paesi anglosassoni) ma il superamento di un esame abilitante ed infine, ed è il caso della Spagna o della Romania, l’esame d’abilitazione è sostituito da un master o un test a crocette.
E da noi come funziona? Al di là del lacunoso sistema universitario che sposta l’età media dei laureati italiani in giurisprudenza tra i 26 ed i 28 anni, vanno considerati gli ulteriori 18 mesi che iniziano a decorrere indergabilmente dal mese di maggio (chi non riesce a laurearsi entro maggio perde un ulteriore intero anno) e gli anni persi dietro all’esame di abilitazione forense. Il nostro esame d’abilitazione, infatti, lungi dall’essere un semplice “master” o un superficiale test a crocette consta di un’unica sessione d’esame all’anno che si protrae a volte anche per ulteriori 18 mesi. Come è possibile? Facciamo un semplice calcolo: gli scritti si svolgono solo una volta all’anno – la seconda settimana di dicembre – e gli orali iniziano il successivo settembre (a nove mesi dagli scritti) e si concludono tra gennaio e febbraio. Risultato? Anche superando immediatamente tutte le prove d’esame, l’età media dei nuovi avvocati italiani è la più alta tra tutti gli avvocati europei.
Questo stato di cose finisce con il produrre una grande e insopportabile discriminazione in capo agli avvocati italiani.
In base al diritto di stabilimento, infatti, qualsiasi professionista con nazionalità europea può svolgere liberamente la professione in uno dei 26 paesi UE. In altre parole, gli abilitati venticinquenni europei possono entrare nel mondo forense italiano e, legittimamente, esercitare la professione con cinque anni di vantaggio rispetto ai giovani italiani. Sarebbe facile scaricare le colpe di questa discriminazione sul diritto di stabilimento o sui sistemi formativi esteri.
In verità da tanti anni, e da più parti, è stato segnalato quanto il nostro esame d’abilitazione sia anacronistico, eccessivamente complesso (tre prove scritte e un esame orale con sei materie di verifica) e non rispettoso dei principi costituzionali, europei e della Cedu.
Per tali ragioni il nostro Studio legale si sta battendo, insieme all’Aipavv, l’Associazione italiana praticanti avvocati, con un grande ricorso collettivo, per tutelare tutti i diritti di migliaia di aspirati avvocati italiani che a causa di un esame ingiusto e anacronistico si vedono negata la possibilità di accedere al mondo del lavoro.
Con il ricorso collettivo, rileveremo l’illegittimità costituzionale dell’impianto normativo che disciplina l’accesso alla professione forense per violazione dei vincoli comunitari che garantiscono il rispetto della libertà di stabilimento e di concorrenza e che vietano l’introduzione di ostacoli ingiustificati all’accesso al lavoro.
Lamenteremo inoltre la violazione e/o la falsa applicazione della direttiva comunitaria 958/2018 che regolamenta gli esami di accesso alle professioni con titolo abilitante e che sarebbe rispettata ove entrasse integralmente in vigore la disciplina di cui alla legge 247/2012. Tale ultima normativa di riforma, difatti, non è ancora entrata in vigore per le sue parti “innovative”.
Per saperne di più sulle nostre azioni e per aderire al ricorso avverso l’esame avvocato 2020 clicca qui
07/09/2020